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giovedì 14 gennaio 2016

Un breve assaggio de "Il grande libro"... Il prologo che riporta "Le ragioni del perché"



Gli appunti sui concetti delle opere di Macedonio mi furono dettati nel ‟73, da mio padre. L‟intenzione era raccogliere il suo pensiero per poi pubblicarlo. Il fato fu però di parere contrario, pag. 586, de Il grande libro...cosicché questi appunti rimasero, in attesa di tempi migliori, in una vecchia scatola da scarpe.
Più volte si giunse vicino alla pubblicazione per poi rimandare il momento. Nel ‟80, ad esempio, fu il terremoto a impedirlo; cinque anni dopo, verso la fine del „85, nuovamente si cercò un editore ma un peggioramento della sua salute ci fece desistere. Così mio padre si limitò ad aggiungere nuovi concetti e in questo mi accorsi che i riporti e le note avevano reso i fogli simili a geroglifici, pag. 750. Rimisi di nuovo tutto nella vecchia scatola, ancora in attesa di tempi migliori, dove riposarono per quasi trent‟anni…
Negli anni „40 si era letto di Macedonio ceramista su riviste come “Il Cellini”.
Tuttavia, Macedonio se pur noto come ceramista, era poco conosciuto come persona, rimanendo lontano dai consensi della celebrità, tanto che la comune idea su di lui, si rifaceva unicamente a popolareschi “sentito dire”.
Questo portò pirandelliani personaggi a conformare il suo pensiero a un più comune consenso, pubblicandolo più che altro per celebrare loro stessi. Fu un “innocente” fai da te, in seguito ripreso da altri novelli Vasari che continuando a ritoccarne il pensiero, modificarono ancor più le circostanze da cui scaturirono gli avvenimenti.
Fu anche l‟abitudine di leggere i concetti trascrivendoli poi secondo un personale intendimento che contribuì a fortificare quest‟avventura filologica su Macedonio.
Finita che fu mia madre, rimasi soltanto io a conoscere l‟avvicendarsi di quelle filosofie scritte nella ceramica ed essendo in possesso di quanto lui stesso mi aveva dettato, sentii il dovere di ridare alla storia e ai lettori gabbati, quelle verità celate.
Decisione che prese forza dai molti riporti falsati, come ciò che scrive il sig. Giorgio Napolitano a pag. 96, de “La Ceramica di Posillipo”. In esso non si limitò a descrivere i fatti legati allo scultore Antonio De Val, da scultore a ceramista per bisogno… e del “salotto” creato da Giuseppina De Feo e dall‟ing. Paolo Marone, pensando bene di allargare il pensiero a Macedonio, esprimendo personali punti di vista che purtroppo rimasero nella storia. Ecco quanto si legge: “Nel loro impianto ceramico, richiamando gli stilemi della ceramica vietrese del periodo tedesco”… omissis …“il cromatismo denso e la valenza corporea dello smalto sono indicatori dell‟esperienza di Vietri”… Cioè a dire che Macedonio aveva preso esperienza plastica e pittorica da Vietri sul Mare; giusto il contrario di quant'avvenne, come si leggerà.
Pur avendo intervistato mio padre diverse volte, il sig. Giorgio Napolitano prestò orecchio a un per lui più ovvio sentito dire e non a quanto gli fu risposto.
In questo modo, non spiegò le ragioni di Macedonio in Vietri sul Mare, non narrò perché il sig. Melamerson Max, gli diede una esorbitante somma di danaro da cui cominciò l'attività al Pascone… riportò solo il popolare pettegolezzo.
Fu l‟inizio di fantasie e omissioni che successivi novelli Vasari, come fosse tradizione, continuarono a perpetrare con scritti pseudo culturali.
In “Gambone la leggenda della ceramica”, ad esempio, pubblicazione dell‟arch. Eduardo Alamaro alla pag. 19 l‟autore afferma che Macedonio e Gambone furono i primi artisti a reinterpretare e diffondere il linguaggio di Doelker… cosa certamente vera per il sig. Gambone, non lo metto in dubbio, non però per Macedonio tirato in ballo a forza dal popolaresco sentito dire, riportato come sacrosanta verità.
L‟arcano si sbroglia a pag. 51, de Il grande libro con: “Le opere realizzate per la I.C.S.”, sempreché lo stesso Macedonio non si sbagli sul suo stesso conto…
Su questo tema, alla pag. 80, di “Forme utili”, la dott. Gaia Salvatori asserisce che il passo de “I due fornaciari”, per alcuni aspetti si lega alla “Ceramica di Posillipo”… senza comprendere che le due attività, diverse tra loro per cultura e concetto, coesistevano come possibilità distinte…
Anch‟essa cade così nel presumere o affidarsi.
A questo incauto procedere si aggiunge quanto scrive la dott. Marina Borrelli, in “Giuseppe Macedonio, Ceramista Napoletano”, chiedendo a un medico appena pratico di ceramica e non a un ceramista di tradizione, com‟è fatto un forno a legna per la ceramica.
Senza dimenticare gli articoli di stampa, uno di essi apparso su “Il Mattino”, del 29 maggio, 1950, a firma del critico Carlo Barbieri che riporta l‟acquisto di tre opere di Macedonio da parte d‟un Museo Americano, in cui lo stolto critico, per essere gentile, forzato da chissà chi, all‟articolo vi abbina il nome di un diverso ceramista che niente ebbe mai a spartire con Macedonio, evento riportato a pag. 180 de Il grande libro... in, “Gli articoli di stampa”.
Bisogna però comprendere che per questa tipologia di ceramisti dall‟ovvio intelletto, l‟essere i più bravi era imperativo, ragione per ricercare possibilità e raccomandazioni, in modo da prevaricare, come si evince dalla ripetitiva azione dello stesso precedente ceramista che, questa volta si fa inserire in un catalogo del Museo F. Palizzi, curato dal critico d‟arte Ciro Ruju e dalla sig.ra Carola, in cui senza apparente motivo, appare inserito di sfuggita nello spazio riservato alla descrizione dell‟opera museale di Macedonio, com‟è spiegato alla pagina 194. Opera richiesta dal Museo F. Palizzi, Na.… Ruju in seguito si scusò in forma privata, dicendo che fu la locale politica a volerlo.
Si scrive su Macedonio ma in quale modo, Nell‟articolo a firma del prof. Mario Forgione, “Piastrelle in pizzeria”, pubblicato su Itinerari del 1988, si chiede solidarietà morale per un evento avvenuto circa trent‟anni prima, …come si dice basta il pensiero, pag. 725 de Il Grande libro....
Intanto il dilagante presumere, raggiunge ed entra nel linguaggio parlato, come si vedrà a pag. 745, in: “Disquisizione intellettuale sul ceramista Macedonio”.
Si leggerà delle false tesi su Macedonio, come “Le innocenti immagini del ‟44”, pag. 232, in cui a testimonianza di tesi totalmente inventate, si pubblicano fotografie uscite dall‟autorevole archivio del prof Gennaro Borrelli, vera e propria truffa, comprovante il dilagante “presumere” ai danni della storia, del lettore e dulcis in fundo, di Macedonio.
Perfino la sua professione è messa in dubbio, non s‟indica come ceramista ma, come poeta, maiolicaro, scultore … attraverso una sciocca caparbietà convulsiva.
Vi sono poi i concorsi da tener presente, anche se nello specifico, le tre edizioni del “Concorso di ceramica Donato Massa”, in futuro avranno un involontario sviluppo culturale, pag. 689; pag. 699; pag. 706 de Il Grande libro....
A questo bisogna aggiungere almeno un esempio per tipologia dei diversi “Comitati” preposti alle “Esposizioni”; agli “Eventi”; e perfino alla “tutela dell‟artista”…
Comitati genericamente spiegati a pag. 169, che poi secondo il caso prendono specifiche più topiche, anche se l‟archetipo rimane l‟A.N.A.T., (Associazione Napoletana Arte e Tradizione) che offre addirittura la creazione di un casalingo “Nobel” segregazionista, accessibile solo ai nati in Campania. è questo il “Premio Giuseppe Macedonio”, pag. 734.
In pari merito un sedicente Comitato Scientifico preposto alla “Tutela dell‟Artista”, si pone a salvaguardia del pensiero di Macedonio in una pubblicazione edita nel 2011, voluta dalla figlia, Serena, per l‟anagrafe Lucia. Essa, non sapendo i fatti, senza interpellarmi permise di lasciar passare meschini errori e fantasiose calunnie.
Fu la goccia… come scrivo a, pag. 741,de Il grande libro... in “Ancora si è tentati da Giuseppe Macedonio”, provocando il più gran danno storico mai perpetrato a questa figura d‟Artista.
Nell‟immediato, tentai di arginare quanto aveva permesso in un‟Errata Corrige, ma gli errori erano troppi e troppo immondi per porvi rimedio e, cosa gravissima, non furono fermati dal Comitato scientifico preposto, ignari di quanto si pubblicava.
Solo una profonda conoscenza, come quella esistente tra padre e figlio e non senza il vantaggio di precisi appunti, si esprime il veritiero pensiero su Macedonio.
Per questa ragione mi sono avvalso di ciò che Macedonio stesso mi dettò con l‟intenzione di pubblicarlo, pag. 589, “Le tre possibilità perdute”, ampliandolo nei particolari, senza però contaminarlo intellettualmente. Io stesso, cresciuto tra l‟arte e gli artisti so che ogni opera d‟arte, è l‟espressione di un‟intima filosofia del pensiero dell‟autore, spesso realizzate in modo da non essere compreso senza conoscere il pensiero dell‟Artista. Ecco perché uomo e arista, devono viaggiare insieme nel percorso della vita e dell‟Arte, se così non è, ci si ferma alla forma esteriore dell‟opera, impossibilitati a tradurre il pensiero in linguaggio parlato.
Macedonio giovanissimo inseguiva un sogno: dipingere.
Incamminatosi in esso, preferì avere come mentore un professionista piuttosto che accodarsi a pittori paesaggisti o della nuova avanguardia. Fu il destino a proporgli un maestro decoratore d‟eccezione: Arnaldo De Lisio, con cui lavorò sempre e solo come “aiutante in prova”, pur di soddisfare il suo smodato desiderio di dipingere.
Già conosceva la ceramica, fu il primo lavoro che imparò dopo l‟accorso alla famiglia che lo rese orfano a soli diciassette anni, anche se il suo lignaggio, la passione del dipingere, il sapere che la corrente andava in un verso contrario al suo pensiero, prestò il proprio sapere per sopravvivere, facendolo da uomo libero… finché potè, pag. 53 de Il grande libro....
Fu dipingendo con il maestro Arnaldo De Lisio che nel 1924, in pieno Liberty, ebbe l‟idea di ricoprire gli spazi architettonici non più con decorazioni pittoriche quanto con ceramiche di grandi dimensioni: pag. 29, “Voglia di dipingere”. Sogno a lui chiaro in cui s‟incamminò e da pittore considerò gli sbalzi dell‟argilla come chiaroscuri di colore.
La sua precoce maturità intellettuale, gli fa rivolgere il pensiero verso tre ampie tipologie di temi: gli introspettivi, i giornalieri, gli universali. Il concetto introspettivo dato dal ricordo della memoria, fu il primo a essere espresso, ancor prima dell‟opera intitolata il “Il quarto bacio ”, 1934, pag. 85. Tuttavia in seguito miscelerà questo concetto a due diverse filosofie: i racconti universali e i giornalieri, da lui osservati.
La Grande Fontana, Mostra d‟Oltremare, 1953, pag. 199, è un esempio sul connubio del giornaliero, filtrato attraverso le filosofie introspettive che legano il tema portante a un presente vicino. Così in modo diverso le quattro opere al Ponte di Tappia, pag. 321, o il fregio esterno del Parco Vanna, pag. 512, entrambe rendono in modo totalmente diverso un presente osservato in un ideale futuro.
I grandi temi storici, per loro natura seguono percorsi più costretti, legati al loro svolgimento, come mostra un androne e un architrave in via M. Schipa, 1949, pag.153, in cui Macedonio esprime la Cacciata di Eva dal paradiso (nel secondo
androne) e la Caccia dell‟uomo primitivo (sull‟architrave del primo androne), due temi universali sulle origini dell‟uomo, l‟una reale per crescita intellettiva, l‟altra per fede.
Macedonio non bada all‟ampiezza della superficie ma al suo contenuto, perciò un‟opera per l‟architettura di grandi dimensioni o una infinitamente piccola, esprimeranno entrambe, pari concetti filosofici, pag. 552, in …“La terza Bugia”.
Tuttavia, si comprende che nella descrizione degli eventi e per quanto il suo animo d‟Artista crea, fino ad ora rimasto indecifrato, è di facile inquinamento intellettuale. Ragione per aver approntato un semplicistico decodificatore, il Codice Macedonio che non permette neanche casualmente di contaminare intellettualmente l‟opera.
In questo è d‟aiuto quanto mi dettò lo stesso Macedonio, almeno per le diverse centinaia di opere riportate e spiegate in queste pagine nelle ispirazioni, nel concetto e nell‟espressione filosofica, secondo il pensiero di Macedonio e del Codice.
In questo modo, il lettore otterrà un saggio paragone da confrontare ai populistici concetti già pubblicati da altri, sfatando ogni falsa riga, evidenziando le incongruenze, avendo certezze. Io stesso come figlio, pur conoscendo profondamente il lavoro di mio padre, mi sono scrupolosamente attenuto a quanto concordammo, limitandomi a trascrivere nel migliore dei modi i concetti e le filosofie contenute nelle sue opere, sperando di esserci riuscito, traducendo i suoi racconti in emozioni.
Ho poi per mio conto offerto ancor più intimi ricordi avvenuti dopo la sua scomparsa, aggiungendo merito a quanto concordammo, senza sminuire il pensiero di quanti elusero e delusero il suo pensiero, sia in vita, sia dopo.
Qualsiasi ceramista degno di questo titolo, vede l‟interezza del concetto da realizzare con gli occhi della mente, proprio come Macedonio. Ciò che egli fa di diverso dagli altri è esprimerlo secondo colte, profonde filosofie.
Un‟inezia intellettuale che fa la differenza… di cui bisogna farsene una ragione.
Non scrivo per gloria né tantomeno per denaro.
Fiero di aver riportato, se pur con mie parole il corretto pensiero di mio padre scevro da personali invenzioni, un atto d‟amore da cui attingere in tutta sicurezza, cosa questa che certamente non piacerà a tutti.
Ciao papà, tuo figlio Eugenio.




Da "Il grande libro"... Chi era Giuseppe Macedonio.
Prima dell’artista vi è l’uomo e nell’uomo, le vicende che l’hanno forgiato.

Ebbe i natali in una famiglia di benestanti, laureati, cosa che tra l’‘800 e il ‘900 e ancor prima aveva una valenza molto diversa da oggi. Macedonio era già preposto a grandi cose. Secondo il padre, L’avvocato Salvatore, avrebbe dovuto fare l’avvocato, continuando così la professione di famiglia.
Di grande apertura intellettuale, Giuseppe Macedonio fu disponibile oltre ogni dire, prerogativa questa di chi per discendenza possiede quel complesso sapere che lo rende tanto saggio da farlo apparire modesto, comprendendo la vita con largo anticipo. Il suo modo di essere fu equilibrato e lontano dalla folla e dai riflettori. Lo ricordo vestito con abiti confortevoli, incurante delle mode del momento che considerava effimere, come lo ricordo tanto distratto da non credere, non perché lo fosse ma perché era concentrato sul suo pensiero, orientandolo verso quei concetti che ora vediamo esprimere alle sue opere, spesso nascosta sotto un lucido strato di smalto. Ultimogenito di una famiglia di avvocati, suo padre e prima di lui suo nonno Michele. Egli stesso, se il destino avesse voluto, avrebbe continuato la tradizione. Purtroppo mancò la laurea per una grave tragedia familiare mentre ancora frequentava il penultimo anno del Liceo Ginnasio. Evento che interruppe bruscamente il corso dei suoi studi, che a quel tempo erano unicamente appannaggio delle classi privilegiate o della nobiltà. Popolarmente si riteneva che gli studi fossero poco idonei ai figli di artigiani o bottegai che fossero. A quel tempo studiare, come vivere, era un privilegio di classe, anche se Macedonio non fu mai d’accordo su questo concetto, tanto che anni dopo, bruciò i documenti araldici di famiglia. Non fu mai un artigiano, come le malelingue insinuarono, e solo considerando la provenienza storica di nascita, questo non poteva proprio essere possibile. Per bisogno lavorò in fabbrica, in un periodo inferiore ai due anni, poi si rese libero da padroni, fin quando poté. Uomo dalle grandi controversie, nel ’42, fu impiegato all’Alfa Romeo come disegnatore militarizzato ma, dopo solo tre mesi, fu licenziato per “scarsa aderenza alle ideologie fasciste”, cosa che all’incirca accadeva mentre riceveva dalle stesse mani del Duce il premio e il titolo di massimo ceramista Italiano del ‘900, tra pompe magne e discorsi. 
Studiò profondamente le innovative filosofie mitteleuropee, scartando la Bauhaus, poiché continuava una tradizione ingiusta, in cui l’architetto passava il progetto all’artigiano a lui legato, ripetendo il rito di “padrone e sotto”. Scelse a suo modello la gestalt, considerandola una filosofia più democratica, giacché offriva a chiunque la possibilità di produrre oggetti superlativi, attraverso produzioni su larga scala e a chiunque di acquistarli con poco, cosa che non dava la Bauhaus. I parti di mia nonna Eugenia avvennero in casa, come d’uso, alla via Torrione S. Martino al Vomero, con trepidazione ma senza grossi problemi, assistiti dai vicini di porta, i Garofalo. Dovete sapere che il bis nonno dei Garofalo, era nientemeno che il comandante delle guardie Borboniche di Palazzo Reale, al servizio di Francesco II, detto Re Franceschiello. Ancora conservo un corno di orallo appartenuto a Sua Maestà Francesco II e che il mio bisnonno ebbe in regalo per essere stato da lui raccolto dopo che cadde a sua Maestà. Evento riportato in un vecchio film diretto da Lina Wertmuller. 
Esso è da me gelosamente conservato, ma senza la corona d’oro che fu venduta nel primo dopoguerra. Anticipo che la famiglia Garofalo, avrà un ruolo importante nella vita di Macedonio. 
Come ho avuto modo di accennare il “ceppo” dei Macedonio, è molto antico, tanto da perdersi nelle nebbie del tempo. La storia pullula dei tanti riporti, di cui forse il più singolare riguarda il perché e il come nacque la parola, “eretico”, ricavata dal nome di un avo, Eretico Macedonio, peculiare personaggio vissuto intorno al terzo secolo. La sua forza fu di negare la santità dello Spirito Santo, riducendolo al grado e alle attribuzioni di un semplice angelo messaggero. Fatto di cui la stessa Chiesa non aveva possibilità di controbattere, essendo questi fatti di fede. Scomodo evento che però dà l’idea di quanto Eretico Macedonio fosse “potente”, considerando che nel caso fosse stato uno di noi a sollevare questo quesito, mai avremmo potuto accedere alla Santa Sede. Fatto che creò ampie fratture fin nel tessuto ecclesiale, tanto che l’interrogativo fu portato al Concilio di Costantinopoli del 381. La Chiesa, ancora una volta poté solo prendere atto della sostanza, non avendo termini di contrasto da contrapporre e sapendo noi, per altre e più contemporanee vie, che il potere non permette mai di far vincere altri se non se stessi, comprendiamo che quest’inalienabile principio, eloquio e scuola di vita, per la Chiesa fu la maniera sottile e pratica di tramutare il nome dell’avo nell'attuale significato encomiastico. Trasformare la parola “Eretico” da nome in sostantivo fu l’unica possibilità a disposizione del Concilio per rendere manifesto il proprio potere. (nota fuori testo originale: evento che si è ripetuto nel tempo grazie alla stolidaggine di chi ha oggi trasformato il suo cognome in aggettivo, facendolo diventare "MACEDONICO" come si legge su internet...) Il bello è che questa disputa da allora, è rimasta tacitamente aperta. La Famiglia Macedonio fu legata alla Corte di Svezia, e alla nobiltà dell’Europa danubiana, da cui in tempi non sospetti, un ramo scese verso lo stivale, stabilizzandosi all’ombra della corte Angioina, in Napoli, sotto il regno di Carlo Roberto, del casato di Napoli, nel 1308. Documentazione visionata personalmente, cui ne serbo un vago ricordo, ma che verso la fine degli anni cinquanta fu bruciata da mio padre stesso, durante un breve quanto intenso attacco anti-monarchico, subito sedato e mai più ripetutosi. Questo accadeva mentre un altro ramo “Macedonio”, saliva verso la Russia, di cui la storia ci riporta che a tempo debito sistemerà i Romanoff sul trono di tutte le Russie. Fatti che oramai sono soltanto storie di famiglia, poiché quei documenti che per discendenza gli attribuivano il titolo di Principe del principato di…, seguito da una lunga sequela di nomi impronunciabili dell’Europa danubiana e svedesi, erano già da lungo tempo decaduti. I rimanenti documenti furono poi bruciati da mio padre. Storia che per via di quest’evento, manca di ufficialità, anche se lo rende memoria di famiglia. Il mio stesso nome, piuttosto che Eugenio, in virtù di queste antiche volontà, sarebbe dovuto essere Nepomuceno, Santo protettore di Praga. Fu mio padre che si oppose a questo poiché da noi tale nome non possiede un largo consenso. Ho riportato brevemente dei fatti appartenenti a due famiglie, i Macedonio e i Garofalo, certo di dare piacere al lettore, inquadrando per l’appartenenza familiare mio padre, Giuseppe Macedonio, e la famiglia della porta accanto. Ragione per cui mai e in nessun caso Macedonio poteva essere considerato di tradizione artigiana. D’altra parte tutti sanno che agli inizi del ‘900, la condizione del lavoratore era ben altra cosa che oggi, con il dovuto rispetto.